venerdì 8 gennaio 2016

Mendicanti di futuro


«Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.»

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.

«Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo noi.»

Correva l’anno 1981.

C’era voglia di combattere per cambiare. Difendere la propria storia, la propria gente, il proprio popolo. Prima di tutti e di tutto. L’interesse e la popolarità venivano dopo.

Oggi si scappa, si abbandona il campo, si manca di coraggio e come nuovi Pilato si preferisce lavarsi le mani. Ci si deresponsabilizza. Ieri sul campo magari si perdeva la vita.

Siamo una generazione che ha perso i propri Padri. Qualcuno ci definisce “generazione Telemaco”: Telemaco, il figlio di Ulisse, attende il ritorno del padre; prega affinché sia ristabilita nella sua casa invasa dai Proci la Legge della parola. In primo piano non è qui il conflitto tra le generazioni ma una domanda inedita di padre, una invocazione, una richiesta di testimonianza che mostri come si possa vivere con slancio e vitalità su questa terra.
Nel nostro tempo nessuno sembra più tornare dal mare per riportare la Legge sull’isola devastata dal godimento mortale dei Proci. (Tesi sostenuta da Massimo Recalcati in “Il complesso di Telemaco” da non confondere con le idiozie dell’imbecille di Firenze).


Caro Ulisse,
ti stiamo aspettando. Noi giovani insieme a tua moglie e nostra Madre ti aspettiamo ansiosi di rivedere la giustizia ristabilita. E anche se questo stato delle cose infondo è colpa tua, della tua assenza, della tua mancanza di responsabilità nei confronti del tuo e nostro paese, avrai il nostro perdono, perché in cambio tu hai il potere di ridonarci quello che è nostro di diritto. La nostra eredità: la speranza che tutto non sia perduto.

Ma forse caro Padre dimentico che tu sei uomo, prima ancora di essere padre. Ed essere uomo è cosa diversa da un Uomo. Magari al tuo ritorno, guardando il cielo, ne potremo discernere insieme.

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