lunedì 27 agosto 2012

Mio caro fratello ladro....

Pochi giorni fa nel mio paese, è stato ucciso un ragazzo.
Un ragazzo dal passato difficile, da un presente assurdo e da un futuro presumibilmente nero. Un ragazzo che sarebbe stato meglio non avere nel proprio giro di belle amicizie, con il quale era cosa buona e giusta non avere a che fare. Non lo conoscevo personalmente, ma per come viveva non bisogna di certo lavorare con la fantasia per capire quanto c’è da poter capire.
Quel pomeriggio, come nei giorni precedenti, cercava di accaparrare soldi estorcendoli agli esercizi commerciali che trovava sul proprio tragitto. Fino alla fine, in uno di questi ha perso quello che aveva davvero valore: la propria vita.
Gli è stata rubata. Estorta.
Un giornale locale riporta il commento di un amico che dice: “se anche era un delinquente, lui sperava presto in cuor suo di poter cambiare vita, trovando un lavoro onesto con il quale poter mantenere una famiglia.”
Forse prima ancora del titolare del negozio quel ragazzo è stato ucciso da noi. Privato della libertà di crescere come un bambino normale. Privato di un padre che si prendesse cura di lui. Privato della stima e del riconoscimento di una dignità che per la “brava gente” non aveva, per cui doveva star lontano. Privato di un lavoro. Privato della fiducia che dobbiamo ad ogni singola persona che incrocia il nostro cammino.
Ghettizzato dai modi e dal pensiero comune, rinchiuso in una maschera che non poteva più togliere, in un teatro che ha via di uscita.
Nel giorno in cui festeggiamo santa Monica, il grido della Mamma del ragazzo non sembra tanto diverso da quello della madre di Agostino di Ippona.
La prima chiedeva la conversione del proprio figlio, la seconda lo stesso. La mamma ha sempre sognato un futuro diverso per i propri figli, ci ha provato con tutte le sue forze. Qualche fratello ha scelto una via diversa da quella della delinquenza, qualcuno oggi vorrebbe ripagare con la stessa moneta. E nonostante tutto la mamma prega che non lo facciano. Prega che lo lascino stare, di non macchiarsi di sangue, prega che il cuore dei propri figli, in questo momento accecato dall’odio per la perdita del proprio fratello, si converta e imparino da quanto accaduto.

Concludo facendo mie le parole di don Tonino Bello, a Massimo, ladro ucciso da un metronotte.

Mio caro fratello ladro,
sono letteralmente distrutto. Ma non per la tua morte. Perché, stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale, forse te la meritavi. Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente. E lui si è difeso. E stamattina, quando sono andato a trovarlo in ospedale, mi ha detto piangendo che anche lui strappa la vita con i denti. E che, con quei quattro luridi soldi per i quali rischia ogni notte la pelle, deve mantenere dieci figli: il più grande quanto te, il più piccolo di un anno e mezzo. No, non sono amareggiato per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita. Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva Ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Questa città che finge di Ignorare la presenza, accanto a te che cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco! Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, si, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli Infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non pro-muovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io che, l’altro giorno, quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo. Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo. Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire. Perdonaci se, ad appena otto giorni dall’inizio solenne dell’anno internazionale dei giovani, abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della nostra retorica.
Addio, fratello ladro.

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