Dialogo con la Samaritana - parte 1
Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.
Sono le parole del Dies
Irae la famosissima sequenza latina attribuita a Tommaso da Celano, il
primo biografo del poverello di Assisi. In ogni caso una delle sequenza musicali
del medioevo che come uno squarcio ha attraversato i secoli per giungere sino a
noi grazie a grandi maestri tra i quali ricordo Mozart e Verdi.
La traduzione della decima strofa ci fa scorgere un
comportamento apparentemente inusuale per il “tremendo giudice” ovvero: Cercandoti ti sedesti stanco/ mi hai redento
con il supplizio della Croce:/ che tanto sforzo non sia stato vano.
L’autore del sacro inno partendo dalle parole del profeta
Sofonia (Sof 1,15-16) descrive il giorno in cui Dio giudicherà il mondo, e
successivamente l’inno supplica attraverso le azioni del Giusto, di essere misericordioso,
ricordando al lettore e a Dio per mezzo della preghiera quello che ha fatto per
l’Uomo.
Cercandoti ti sedesti
stanco. E’ evidente l’azione di un Dio in ricerca dell’uomo, e che stanco
di cercare, di percorrere le vie dell’uomo si siede, stanco.
E’ ovvio il riferimento al processo di salvezza, pensato da
Dio sin dall’inizio dei secoli e il suo farsi uomo.
Ci sarebbe tanto da dire su questo, ma mi limiterò solo a
rammentare che il primo che è alla ricerca dell’uomo è lo stesso Dio che lo ha
cercato fin dentro la storia stessa dell’uomo: l’incarnazione.
Ma quello che mi ha incuriosito è il “sedersi stanco”. Il riferimento qui pare chiaro, in nessun altro
vangelo se non in quello di Giovanni, vi è l’immagine di Gesù che stanco si
siede. Il riferimento pare ovvio al “Dialogo di Gesù con la Samaritana” nel
quale l’autore del IV vangelo descrive la scena: “Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al
terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di
Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso
mezzogiorno.” (Gv 4,4-6)
Sant’Agostino viene in aiuto a spiegarci ogni cosa, nel suo “Commento
al Vangelo di Giovanni” dice:
Gesù, dunque, stanco per il viaggio, stava così a sedere
sul pozzo [di Giacobbe]. Era circa l’ora sesta (Gv 4, 6). Cominciano i
misteri. Non per nulla, infatti, Gesù si stanca; non per nulla si stanca la
forza di Dio; non per nulla si stanca colui che, quando siamo affaticati, ci
ristora, quando è lontano ci abbattiamo, quando è vicino ci sentiamo sostenuti.
Comunque Gesù è stanco, stanco del viaggio, e si mette a sedere; si mette a
sedere sul pozzo, ed è l’ora sesta quando, stanco, si mette a sedere. Tutto ciò vuol suggerirci qualcosa, vuol
rivelarci qualcosa; richiama la nostra attenzione, ci invita a bussare. Ci
apra, a noi e a voi, quello stesso che si è degnato esortarci dicendo: Bussate
e vi sarà aperto (Mt 7, 7).
E’ per te che Gesù si è stancato nel
viaggio. Vediamo Gesù pieno di forza e lo vediamo debole; è forte e debole:
forte perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il
Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio. Vuoi vedere com’è forte
il Figlio di Dio? Tutto fu fatto per mezzo di lui, e niente fu fatto senza
di lui; e tutto senza fatica. Chi, dunque, è più forte di lui che ha fatto
tutte le cose senza fatica? Vuoi vedere ora la sua debolezza? Il Verbo
si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1-3.14). La forza di Cristo ti ha creato,
la debolezza di Cristo ti ha ricreato. La forza di Cristo ha chiamato
all’esistenza ciò che non era, la debolezza di Cristo ha impedito che si
perdesse ciò che esisteva. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza
è venuto a cercarci.
Con la sua debolezza è venuto a cercarci.
Quella stanchezza che accusa il “Cercatore dell’Uomo” è la debolezza
dell’essere uomo, una debolezza condivisa con me, stanco di cercarlo e in
desideroso di incontrarlo.
Quanta fatica cercare l’Uomo che fugge Dio! Un Dio che si è
fatto talmente piccolo da nascere uomo, lui che è Creatore si è fatto creatura
per riportare la creatura al Creatore. E come non pensare all’imminente Natale.
Gesù si ferma stanco,
al pozzo. Da notare è il fatto che Bibbia gli incontri al pozzo tra uno
sconosciuto e una donna si concludono abitualmente con un matrimonio. È al
pozzo che il servo di Abramo, inviato dal patriarca nella sua terra d'origine
per scegliere una moglie al figlio Isacco, incontra la splendida Rebecca (Gn
24,10-51) ed è sempre al pozzo che Giacobbe incontra il suo grande amore, la
bella Rachele (Gn 29,9-14). Anche Mosè incontra la sua futura sposa al pozzo
(Es 2,15-22).
E’ ovvio che per l’autore del IV Vangelo la “collocazione”
non sia dettata dal caso, storicamente tra l’altro non abbiamo alcun riferimento
su di un pozzo a Sicar, tantomeno dell’Antico
Testamento viene menzionato, come dirà più tardi la donna della Samaria,che Giacobbe
ne abbia bevuto con i suoi figli e il suo bestiame. (cfr. Gv4,12)
Il pozzo può e probabilmente rappresenta per il simbolismo
del IV vangelo, il luogo in cui si incontra il proprio futuro, la propria
donna, il progetto che Dio ha per ciascuno. Il Matrimonio di Dio con l’uomo.
E’ proprio il pozzo allora il luogo simbolo della necessità
materiale dell’uomo. Il passaggio sarà
poi dal materiale, dal caduco, dal finito, al sovrannaturale, all’incorruttibile,
all’infinito.
Gesù quindi, stancato dalla ricerca dell’uomo, e non stanco
di cercarlo, lo incontra lì dove poi avrà capito, è il luogo che l’uomo
raggiunge per soddisfare i propri bisogni, offrendogli qui, l’eternità.
Il pozzo allora, non
tanto lontano da dove sono, è il luogo dove, forse, cerco la verità su di me.
Li trovo qualcuno ad attendermi, con una Verità che mi sovrasta: un altro uomo,
anzi Uomo.
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